Muoversi 4 2021
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PNRR: A CHE PUNTO SIAMO E COME SI STANNO SPENDENDO I SOLDI

PNRR: A CHE PUNTO SIAMO E COME SI STANNO SPENDENDO I SOLDI

di Michele Masulli

Michele Masulli

Direttore Area Energia I-com

Il Next Generation EU (NGEU) rappresenta la risposta storica che l’Unione europea ha promosso di fronte alla crisi economica causata dalla pandemia Covid-19. Facendo cadere altresì il tabù del debito comune, le Istituzioni europee hanno approntato un piano straordinario da oltre 800 miliardi di euro con l’obiettivo di dare forza alla ripresa, alimentando in parallelo un programma significativo di modernizzazione del continente all’insegna delle “transizioni gemelle” (quella ecologica e quella digitale) e del sostegno alla coesione sociale. L’ossatura di NGEU è costituita dal Recovery and Resilience Facility (RRF), uno strumento da 723,8 miliardi di euro (a prezzi correnti), di cui 358,8 in prestiti e 338 a fondo perduto. Volendo qui compiere una rapida comparazione tra gli approcci degli Stati membri al proprio Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e sullo stato dell’arte, è necessario evidenziare in premessa impostazioni differenti non solo nelle priorità di investimento, ma anche nelle scelte di finanziamento. Se tutti i Paesi UE, eccetto la Lettonia, hanno fatto richiesta di sovvenzioni per l’ammontare massimo per essi stanziato(1), differenti sono state le decisioni a riguardo della quota del RFF a cui si attinge tramite prestiti.

Tra i paesi europei la scelta di gran lunga prevalente è stata di non servirsi dei prestiti Ue. ll contrario è valso per Italia, Grecia e Romania, che hanno scelto di richiedere il massimo dei prestiti concessi

In questo caso, la scelta di gran lunga prevalente è stata di non servirsi dei prestiti UE.  Il contrario è valso per Italia, Grecia e Romania, che hanno scelto di richiedere il massimo dei prestiti concessi(2), e per Cipro, Polonia, Portogallo e Slovenia, che ne hanno domandata una parte. Emerge, pertanto, come il PNRR più consistente sia quello italiano (191,5 miliardi di euro), seguito a distanza dai piani spagnolo (69,5) e francese (39,4). L’Italia è anche il Paese, dopo Grecia, Romania e Croazia, a mostrare il rapporto più elevato tra ammontare del PNRR e PIL 2021. Insomma, il volume di risorse che l’Italia dovrà spendere entro il 2026 è tra i principali in Europa sia in valore assoluto sia se comparato alle dimensioni della propria economia.

Ad oggi tutti i Paesi europei hanno presentato alla Commissione il proprio PNRR, a eccezione della Bulgaria e dei Paesi Bassi, che a sei mesi dalle elezioni non ha un nuovo governo alla guida. Sono 20 invece gli Stati membri che hanno superato la procedura di valutazione condotta dalla Commissione (i Piani devono corrispondere agli obiettivi e ai criteri del regolamento che istituisce il RFF e alle raccomandazioni country-specific) e 16 hanno ottenuto una quota di prefinanziamento pari al 13% dell’importo totale del Piano. Le erogazioni successive sono subordinate al conseguimento delle milestone e dei target previsti nei PNRR.

Il confronto tra i PNRR degli Stati UE non è esercizio facile. Essi adottano strutture e articolazioni diverse per declinare numerosissimi investimenti e riforme. Risulta altresì complicato attribuire ogni spesa al conseguimento di uno solo degli obiettivi europei. Ad esempio, una misura potrebbe simultaneamente favorire la transizione digitale e la coesione sociale. Tuttavia, se ci limitiamo a considerare quanto gli Stati dichiarano(3), si segnala come in media (calcolata su 20 piani nazionali) il 43% del RRF venga destinato alla transizione ecologica e il 28% alla trasformazione digitale. A dichiarare investimenti verdi in proporzione maggiore sono il Lussemburgo e la Danimarca (il 60% del totale), seguiti dal Belgio (52%). La Germania si distingue per percentuale di spese nella trasformazione digitale (il 53% del totale) così come l’Austria (40%). L’Italia destina, invece, il 43% delle sue risorse alla transizione ecologica e il 29% al digitale, attestandosi sulla media UE.

È possibile condurre lo stesso esercizio in relazione alle 7 flagship areas(4) individuate dalla Commissione (Fig.1). In questo caso, la quota principale (prossima al 18% nella media di 22 Paesi) è destinata all’area Recharge and refuel, che attiene alle tecnologie di mobilità sostenibile e intelligente, alle stazioni di ricarica e rifornimento e all’estensione del trasporto pubblico. Seguono (con percentuali superiori all’11%) gli ambiti Power up e Reskill and upskill, la prima relativa allo sviluppo delle fonti rinnovabili e la seconda riguardante il rafforzamento delle competenze digitali. Per quanto riguarda il PNRR italiano, si conferma il primato di Recharge and refuel, seguita da Reskill and upskill e da Renovate, l’area che comprende gli interventi di miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici pubblici e privati.

Se si considerano, infatti, i progetti del Piano italiano più significativi per stanziamento di risorse, troviamo in primis gli incentivi per l’efficienza energetica e la messa in sicurezza degli edifici (ecobonus e sismabonus 110%), che beneficiano di quasi 14 miliardi, poco di più rispetto alle misure di Transizione 4.0 per la competitività e la produttività delle imprese e agli interventi per l’alta velocità ferroviaria. Guardando alle priorità di spesa del PNRR tedesco(5), si individuano i programmi di modernizzazione degli ospedali, la digitalizzazione dei servizi pubblici, gli incentivi all’acquisto di veicoli elettrici e l’efficientamento energetico degli edifici. Anche la Francia punta in particolare sulla riqualificazione energetica, la digitalizzazione degli ospedali e del sistema sanitario e l’irrobustimento del settore ferroviario. Per la Spagna sono primari l’investimento nelle fonti rinnovabili e nella digitalizzazione delle competenze di popolazione e liberi professionisti e delle piccole e medie imprese.

Se ci limitiamo a considerare quanto gli Stati dichiarano in media il 43% del RRF viene destinato alla transizione ecologica e il 28% alla trasformazione digitale

In conclusione, è utile guardare agli effetti macroeconomici attesi dall’implementazione di NGEU. Le stime in merito da parte degli Stati membri e delle maggiori istituzioni internazionali sono molteplici. Se vogliamo stare alle previsioni della Commissione, l’Italia dovrebbe essere il terzo Paese, dopo Grecia e Spagna, a trarre beneficio dal programma europeo. L’apporto alla crescita indotto da NGEU sarebbe compreso tra l’1,5 e il 2,5% del PIL al 2026.  Per un’economia da anni malata di crescita, è un contributo da non trascurare.

 


Note

1 Calcolato per il 70% sulla base di Pil pro-capite, popolazione e disoccupazione e per il 30% anche in considerazione delle variazioni del PIL nel 2020 e nel 2021.

2 Equivalente al 6,8% del reddito nazionale lordo per l’anno 2019.

3 Ci rifacciamo all’analisi “European Union countries’ recovery and resilience plans” di Bruegel (https://www.bruegel.org/publications/datasets/european-union-countries-recovery-and-resilience-plans/) basata su quanto attestato dagli Stati membri. Un’indagine da parte di istituti terzi probabilmente dà risultati diversi, si pensi alle valutazioni differenti date dai green tracker sul contributo dei PNRR ai fini della transizione ecologica.

4 Esse sono: Power up, Renovate, Recharge and refuel, Connect, Modernise, Scale-Up, Reskill and upskill.

5 Vd. Corti, F., J.  Núñez Ferrer, T. Ruiz de la Ossa, P. Regazzoni, Comparing and assessing recovery and resilience plans. Italy, Germany, Spain, France, Portugal and Slovakia, CEPS, settembre 2021.